Luigi Sturzo nasce a Caltagirone (Catania) il 26 novembre 1871, da una famiglia dell'aristocrazia agraria. Frequenta i seminari prima di Acireale, poi di Noto.
La pubblicazione della Rerum novarum (1891), prima enciclica sulla condizione operaia, e lo scoppio delle rivolte dei contadini e degli operai delle zolfare siciliane, i cosiddetti Fasci, spingono Sturzo a orientare i suoi studi filosofici verso l'impegno sociale.
A Roma, mentre frequenta l'Università Gregoriana, partecipa del fervore culturale dei giovani cattolici, attratti dalle tendenze neotomiste della prima Democrazia Cristiana. Il giovane Sturzo assume posizioni entusiastiche nei confronti di Leone XIII, il papa della Rerum novarum. Allo stesso tempo si mostra assai critico rispetto allo Stato liberale, al suo centralismo, alla sua pratica del trasformismo elettorale, all'assenza di una politica per il Mezzogiorno. Nel 1895 Sturzo fonda il primo comitato parrocchiale e una sezione operaia nella parrocchia di S. Giorgio; a Caltagirone dà vita alle prime casse rurali e cooperative. All'interno dell'Opera dei Congressi, sostiene il non expedit, che però interpreta come fase di transizione all'impegno politico, "preparazione nell'astensione". La lotta per le autonomie comunali è ritenuta da Sturzo scuola ideale per la formazione politica.
Dopo la laurea conseguita alla Gregoriana nel 1898, Sturzo si dedica pienamente al lavoro politico-organizzativo. Con i fatti di maggio del 1898, le repressioni antioperaie di Bava Beccaris, gli stati d'assedio nelle principali città, il processo a Davide Albertario, si comincia a delineare l'impossibilità della convivenza all'interno dell'Opera dei Congressi fra conservatori e democratici cristiani. Il mantenimento dell'unità dei cattolici, voluta da Leone XIII, diventava sempre più arduo. Il sacerdote di Caltagirone tenta invano di introdurre nell'Opera una riflessione sui problemi del Mezzogiorno, che aveva sempre più approfondito nell'esperienza diretta del mondo contadino negli anni della crisi agraria.
"Pochi — scrive Gabriele De Rosa — ebbero, come Sturzo, la conoscenza specifica della struttura agraria e artigianale siciliana e la sua capacità di analisi degli effetti negativi del processo di espansione del capitalismo industriale sui fragili mercati del Sud e sulla piccola e media borghesia agricola e artigiana locale, che si sfaldava sotto i colpi di una impossibile concorrenza. Tra le cause della disgregazione dei vari ceti artigianali in Sicilia, Sturzo indicava la 'forte concorrenza delle grandi fabbriche estere o nazionali di materie prime'; la lotta 'rovinosa' che si facevano gli artigiani locali, la mancanza di capitali, l'indebitamento, l'impoverimento delle campagne dovuto alla crisi agraria" (De Rosa 1982, p. 616).
Nel 1900 Sturzo tiene al seminario di Caltagirone un ciclo di lezioni sul testo Principi di economia politica del gesuita Matteo Liberatore, uno dei redattori della Rerum novarum, in cui esprime la convinzione che la diffusione di "un gran numero di operai-proprietari" sarebbe stato fattore di stabilità sociale, essendo questi "meno spostati e meno anarchici alla società". Sturzo insegna anche la filosofia di Rosmini, nonostante l'opera principale del Roveretano, le Cinque piaghe della Chiesa, fosse messa all'indice.
Nei primi anni del secolo collabora al quotidiano cattolico palermitano "Il Sole del Mezzogiorno" distinguendosi tra i meridionalisti più battaglieri, accanto a Salvemini e a Nitti. Le tesi di Sturzo sono a favore di un decentramento regionale amministrativo e finanziario e di una federazione tra regioni; privilegiano inoltre la lotta sociale, ovvero l'organizzazione della resistenza contadina e del credito agrario attraverso le casse rurali e le cooperative in vista della crescita di una piccola e media proprietà agricola, a fianco della quale deve svilupparsi anche la piccola e media industria. Il comune rappresenta, secondo Sturzo, la vera base della vita civile, libero dalle ingerenze dello Stato, non ente burocratizzato con funzioni delegate, ma padrone e gestore delle proprie attività economiche, a cominciare dai servizi pubblici, autentica espressione di governo amministrativo locale.
L'esperienza amministrativa
Nel 1902 i cattolici di Caltagirone, guidati da Sturzo, si presentano come partito di centro nelle amministrazioni locali. Nel 1905 Sturzo è nominato consigliere provinciale; dal 1905 al 1920 ricopre anche la carica di pro-sindaco. Negli anni siciliani Sturzo scrive anche di poesia e di teatro secondo la formula dell'arte per la vita cara ai cattolici dell'epoca, da Giuseppe Sacchetti a Filippo Meda. Il discorso di Sturzo I problemi della vita nazionale dei cattolici, pronunciato a Caltagirone il 24 dicembre 1905, segna uno spartiacque tra la vecchia posizione dei cattolici papali militanti nell'Opera dei Congressi, obbedienti alla norma del non expedit, e la nuova fase storica, che prelude alla formazione di un partito laico, democratico e costituzionale di ispirazione cristiana. In questo discorso, Sturzo delinea infatti le caratteristiche di un futuro partito dei cattolici, la cui fisionomia verrà precisata nell'appello A tutti gli uomini liberi e forti e nel programma del Partito Popolare Italiano (PPI) del 1919: la piena autonomia dall'autorità ecclesiastica e la rinuncia a fregiare il partito del titolo di cattolico, per porsi con gli altri partiti sul comune terreno della vita civile. Nel 1915 Sturzo viene eletto vice presidente dell'Associazione Nazionale dei Comuni italiani. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Sturzo è favorevole all'intervento dell'Italia. Alcuni mesi prima della fine della guerra, si appresta a fondare un partito nazionale; nel novembre del 1918 raduna nella sede dell'Associazione Unione Romana un gruppo di amici per gettare le basi del nuovo partito.
1919 – 1924
La fondazione del PPI e l'impegno antifascista
Il 18 gennaio 1919 viene diffuso l'appello A tutti gli uomini liberi e forti, con il quale nasce il Partito Popolare Italiano. Nel primo Congresso (Bologna, 1919), Sturzo ribadisce il carattere laico e aconfessionale del partito e precisa la sua concezione dello Stato, una concezione diversa da quella degli altri movimenti politici italiani fra cui il fascismo; "siamo sorti — egli afferma - a combattere lo Stato laico e lo Stato panteista del liberalismo e della democrazia; combattiamo anche lo Stato quale primo etico e il concetto assoluto della nazione panteista o deificazione, che è lo stesso". Nel congresso del PPI che si tiene a Venezia,Sturzo traccia le linee della riforma regionalista dello Stato.
Tra il primo ministero Mussolini e il Congresso di Torino (1923) si colloca il più importante discorso di Sturzo sulla questione meridionale, pronunziato a Napoli il 18 gennaio 1923, in cui si sostiene che il bacino del Mediterraneo è il naturale ambito di espansione dell'economia del Mezzogiorno. Dopo il Congresso di Torino, Sturzo prende posizione contro la legge elettorale maggioritaria (legge Acerbo), il che scatena la forte reazione dei fascisti che si concreta in una violenta campagna stampa contro di lui. Il Segretario di Stato, cardinale Gasparri, lo invita a dimettersi dalla carica di segretario politico del PPI; il gruppo parlamentare vota a favore della legge, contravvenendo al precedente deliberato di astensione. Durante la campagna per le elezioni dell'aprile 1924, Sturzo lavora comunque attivamente, in qualità di membro della Direzione del PPI; il partito, che si qualifica come il più forte per numero di suffragi, va all'opposizione.
Dopo il delitto Matteotti, Sturzo sostiene la tesi di De Gasperi, segretario politico del PPI, sulla possibilità di collaborazione con i socialisti. Gravemente minacciato nella vita dai fascisti, Sturzo viene invitato dal cardinale Gasparri a lasciare l'Italia, e, il 25 ottobre 1924, parte alla volta di Londra.
1925 – 1946
L'esilio a Londra e a New York
Il soggiorno londinese si trasforma in esilio; il discorso del 30 marzo 1925 segna l'inizio di un nuova fase politica, in cui si pone l'accento sulla salvaguardia dei princìpi più che sulle formule politiche. Il fascismo è visto come l'aspetto "più grave" di un turbamento e di un conflitto fra reazione e democrazia che coinvolge tutta l'Europa. Negli anni londinesi Sturzo conduce la sua battaglia antifascista sulle pagine di "People and Freedom" e attraverso l'"Aube"; critica duramente la guerra decisa da Mussolini contro l'Etiopia. "Intuì — scrive De Rosa — che se Mussolini non fosse stato fermato decisamente da Francia e Inghilterra dall'impresa contro l'Etiopia, sarebbe stato 'il disastro dell'Italia e quello dell'Europa' " (De Rosa 1982, pp. 620-621). E ancora, prende posizione nella guerra civile spagnola contro l'insurrezione dei generali, denuncia il pericolo del nazismo per la civiltà europea e la pace nel mondo, condanna la debolezza delle democrazie di fronte alla politica aggressiva di Hitler, vede nella Conferenza di Monaco le avvisaglie di una prossima guerra, si impegna affinché la Santa Sede prenda posizione contro il conflitto imminente. Sostiene la politica di Roosevelt di intervento nella guerra contro Hitler accanto alle armate sovietiche.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, Sturzo è costretto ad abbandonare Londra per New York, ove arriva il 3 ottobre 1940. Sei anni dura l'esilio americano, durante i quali fonda un'associazione di cattolici democratici, American People and Freedom, e stringe rapporti con gli esuli raccolti nella Mazzini Society - tra i quali Gaetano Salvemini e Lionello Venturi - e con il mondo accademico degli USA. L'attività che lo impegna maggiormente è quella, raccomandatagli anche da De Gasperi, di convincere gli USA a distinguere fra fascismo e popolo italiano e impegnarsi per un trattato "senza umiliazioni e vessazioni".
1946 – 1959
Il ritorno in Italia
Tornato in Italia nel 1946, Sturzo non entra a far parte della DC, pur mantenendo rapporti, non sempre facili, con i suoi maggiori esponenti. Si dedica ad un’intensa attività pubblicistica sui maggiori quotidiani nazionali per la ricostruzione ed il rafforzamento dello Stato democratico. Il 17 dicembre 1952 Sturzo viene nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, e aderisce al Gruppo misto del Senato. Muore a Roma l'8 agosto 1959.