Eccellentissimo Signor Ministro,
ho avuto notizia dell’invio di una missiva, qualificata nell’oggetto: ESPOSTO / DIFFIDA ERGA OMNES, con la quale l’On. Gianfranco Rotondi Le ha inopinatamente richiesto di intervenire per esercitare non meglio definiti poteri finalizzati ad impedire alla DEMOCRAZIA CRISTIANA, che attualmente mi onoro di rappresentare quale Segretario Nazionale, di svolgere la propria attività politica e finanche, parrebbe di capire, di celebrare il suo XX Congresso Nazionale fissato a Roma il prossimo 6 e 7 maggio.
Solo per onore di verità e riservata alle decisioni delle Autorità giudiziarie competenti, nessuna esclusa, le iniziative che nei prossimi giorni verranno assunte nei personali confronti dell’On. Rotondi, ritengo doveroso replicare puntualmente alle false e inconferenti illazioni articolate nello scritto a Lei inviato.
Così da porre prima un freno e poi una fine al continuo illegittimo e strumentale utilizzo appropriativo da parte di vari soggetti, tra i quali l’On. Rotondi, del nome del Partito della Democrazia Cristiana, che con rinnovato vigore si appresta a riprendere il ruolo che sempre le è spettato nel panorama politico italiano. E che perciò molti continuano a cercare di negarle per impedire al mondo cattolico, al ceto medio produttivo, ai corpi intermedi, alle persone oneste, agli uomini di cultura e in genere a tutti coloro che hanno a cuore il bene dell’Italia di ritrovarsi in una casa comune.
Ricordo quindi che con atto di citazione notificato nell’anno 2002 la cd. Democrazia Cristiana di Sandri e poi di Pizza - una delle diverse formazioni politiche costituitesi dopo il 1994 in dichiarata continuità con la Democrazia Cristiana “storica” – conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Partito CDU, rivendicano il diritto esclusivo all’utilizzo del simbolo dello “scudo crociato”. Identica e speculare azione veniva contestualmente intrapresa dal Partito dell’UDC nei confronti della stessa Democrazia Cristiana, per inibire a quest’ultima l’uso del medesimo simbolo.
I due giudizi, riuniti in secondo grado, hanno formato oggetto di una articolatissima sentenza della Corte di Appello, la n. 1305/2009, poi confermata dalla sentenza delle Sezioni Uniti n. 2599/2010, che ha sviluppato un articolato e meditato approfondimento delle questioni controverse connesse alla rivendicazione del simbolo politico in esame, indicando un chiaro percorso giuridico da perseguire per ripristinare il pieno ed esclusivo diritto all’utilizzo del simbolo.
Questi i passaggi fondamentali della motivazione:
a.- pur mancando nello Statuto della Democrazia Cristiana una specifica previsione in punto di modifica della denominazione del Partito, si doveva ritenere applicabile la procedura dettata per le modifiche statutarie, che a norma dell’art. 135 ne rimetteva la competenza al Congresso Nazionale, chiamato a deliberare in proprio o tramite delega al Consiglio Nazionale (art. 135 “Le norme del presente Statuto possono essere modificate dal Congresso nazionale del partito a maggioranza assoluta dei voti dei rappresentati. Il Congresso può delegare al Consiglio nazionale la modifica dello Statuto con l’indicazione dei principi e dei criteri relativi nonchè della maggioranza di voto necessaria per l’approvazione”). Nel caso specifico non risultava né un intervento modificativo del Congresso Nazionale, né una delega congressuale al Consiglio Nazionale, di talchè era stato di fatto costituito un nuovo e diverso soggetto politico al di fuori di ogni cornice di legalità statutaria:
“Deve rilevarsi che, in assenza di una specifica previsione, contenuta nello statuto, sull’organo competente a deliberare eventuali modifiche della denominazione del partito e, nel caso in cui si tratti di organo collegiale (il Consiglio Nazionale, il Congresso ovvero la Direzione, ‘Ufficio politico oo la Giunta esecutiva nazionale), sulle modalità di tali modificazioni, la modificazione del nome dell’ente, riguardando una delle previsioni – la denominazione dell’ente – che, ai sensi dell’art. 16 c.c., devono essere contenute nell’atto costitutivo e nella statuto, deve essere operata quantomeno con le forme previste per le modifiche statutarie (cfr. per la qualificazione quale modifica statuaria del mutamento di denominazione di una società Cass. sez. III, 28.06.1997 n. 5798). Nel caso in esame l’art. 135 dello·statuto specificamente dispone che le norme di esso «possono essere modificate dal Congresso nazionale nel Partito a maggioranza assoluta dei voti rappresentati», ovvero delegate dal Congresso al Consiglio Nazionale «con l’indicazione dei principi e dei criteri relativi nonché della maggioranza di voto» necessaria per l’approvazione delle modifiche. Non risultando né che la modifica della denominazione sia intervenuta con la maggioranza assoluta dei voti rappresentati nel Congresso né che vi sia stata delega al Consiglio Nazionale nelle forme previste dall’art. 135, 2° co. dello statuto, deve ritenersi che la modifica della denominazione intervenuta con delibera del 18.01.1994 da un’assemblea di composizione assimilabile a quella del Consiglio Nazionale anche se non coincidente con esso (presenti i coordinatori regionali del partito, i dirigenti nazionali e i delegati nazionali dei tre movimenti del partito) sia affetta da nullità poiché adottata da organo incompetente e con modalità che si pongono del tutto al di fuori dello schema statutario. Per tale profilo non può farsi riferimento, come invece afferma (…) nel caso in esame, il mutamento di denominazione è intervenuto ad iniziativa di organo incompetente a disporre la modifica statutaria senza il rispetto delle procedure previste dallo stesso statuto”
b.- Poiché il cambio di nome era stato deciso da organi del tutto incompetenti a modificare lo Statuto, le relative delibere risultavano affette da un vizio di tale gravità da doversi qualificare non già come semplicemente invalide, ma radicalmente inesistenti:
“La disposizione effettuata del simbolo del partito da parte delle due formazioni politiche che si andavano delineando all’interno del P.P.I., l’una facente capo all’On. Gerardo Bianco e l’altra che riconosceva il proprio leader nell’On. Rocco Buttiglione è invalida poiché i partecipanti agli indicati accordi hanno disposto di un nome e di un simbolo di cui non avrebbero potuto disporre.
Va precisato che tali accordi sono concordemente individuati dalle parti nel c.d. accordo di Cannes del 24.06.1995 (dove l’On. Bianco s’impegnava «a proporre al Congresso di non contendere alla formazione politica» avversaria «l’uso del simbolo dello scudo crociato e a non adottare tale simbolo o altro equivalente per la propria formazione politica») e nel successivo accordo del 14.07.1995 intervenuto tra i leaders delle due formazioni già indicate, dove entrambi si impegnavano reciprocamente a non adottare, per le nuove denominazioni delle formazioni politiche a ciascuno facenti capo, la locuzione «Democrazia Cristiana» e dove l’on. Bi. riconosceva all’On. Buttiglione la possibilità di utilizzare il simbolo dello scudo crociato secondo il disegno (non modificabile) allegato allo stesso accordo. In proposito va rilevato, in primo luogo, che, all’epoca della conclusione dei predetti accordi, non era stata ancora costituita la formazione dei Cristiani Democratici Uniti che, a quanta afferma lo stesso C.D.U. nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, venne costituita solo in data 04.10.1995. In secondo luogo il predetto accordo, che comunque non era stato preceduto da una corretta modifica della denominazione della Democrazia Cristiana «storica» secondo le previsioni statuarie, non era certamente idoneo a trasferire 1’uso di un segno distintivo ma, al più, ad impegnare reciprocamente le sole formazioni politiche che ad esso partecipavano.
c.- Poste tali premesse, il Partito Popolare Italiano non poteva vantare una continuità giuridica con la Democrazia Cristiana, per cui l’accordo di disposizione di nome e simbolo stipulato dal PPI con la formazione dell’On. Buttiglione, peraltro non ancora costituita, era chiaramente idoneo a trasferire l’uso di un segno distintivo rimasto in titolarità della DC:
“A conclusioni non diverse deve giungersi per l’uso del simbolo della scudo crociato con la scritta «Libertas» da parte del C.D.U. Quest’ultimo ha richiesto ritenersi l’uso di tale simbolo prerogativa esclusiva dello stesso concludente con conseguente dichiarazione di illegittimità dell’uso da parte degli appellati facendo riferimento all’accordo del luglio 1995 in occasione del quale il diritto all’uso del simbolo sarebbe stato trasferito in suo favore. Dovendosi escludere, per le ragioni sopra esposte, che la modifica del nome della «storica» Democrazia Cristiana in Partito Popolare Italiano sia intervenuta in conformità alle norme statuarie e che, conseguentemente, legittimamente un soggetto giuridico con tale denominazione, assumendosi in continuità con la «storica» Democrazia Cristiana, abbia disposto del simbolo del partito lo stesso non può ritenersi legittimamente ceduto al C.D.U. (che, peraltro, come precedentemente rilevato, è stato costituito in epoca successiva agli accordi intervenuti tra l’on. Bianco e l’on. Buttiglione) che, quindi, non può rivendicarne l’uso in forza di quell’accordo”.
d.- Se il CDU non aveva ricevuto legittimamente la titolarità del simbolo dello “scudo crociato” per i motivi anzidetti, di riflesso l’UDC non aveva ricevuto legittimamente lo stesso segno dal CDU, non potendo richiamare a suo sostegno gli accordi di Cannes:
“Non può neppure affermarsi che l’adozione del simbolo dello scudo crociato da parte dell’appellato U.D.C. sia legittimamente ad esso derivato, come riportato dalla stessa parte nella descrizione dei fatti che hanno condotto all’adozione del simbolo, dall’adesione del CDU all’accordo politico elettorale del 20.03.2002 che costituiva l’UDC. Non potendo ritenersi che in forza degli accordi del 24.06.1995 e del 14.07.1995 sia legittimamente derivata al CDU l’utilizzazione del simbolo della scudo crociato con la scritta «Libertas», per le ragioni esposte ai punti che precedono, non può accogliersi la domanda dell’U.D.C. che ha richiesto la condanna al risarcimento dei danni della controparte per illegittimo uso del proprio simbolo che afferma di aver adottato perché destinato a rappresentare una formazione politica nascente dall’accordo di tre associazioni e in cui lo scudo crociato è stato riportato in forza della partecipazione del CDU agli accordi del 24.06.1995 e del 14.07.1995”.
e.- Escluso la titolarità dell’UDC sul simbolo in esame, la relativa legittimazione non poteva tuttavia affermarsi neppure in capo al Partito della Democrazia Cristiana facente capo a G. Pizza, non sussistendo evidenza della continuità giuridica con la Democrazia Cristiana cd. storica. Continuità che, una volta correttamente ripristinata e dimostrata, ha consentito però certamente di rivendicare l’uso esclusivo dello “scudo crociato”, come parte del patrimonio immateriale, mai estinto, dell’originario Partito:
“Sul piano meramente fattuale, ove effettivamente risultasse provato che l’attuale Partito della Democrazia Cristiana facente capo a G. Pizza fosse identificabile con la stessa Democrazia Cristiana esistente fino alla data dell’assemblea del 18.01.1994 e che essa, senza soluzione di continuità, avesse continuato ad operare con gli stessi associati fino alla data di proposizione del giudizio di primo grado (atto notificato il 17.09.2002) ovvero a una data anteriore specificamente individuabile, potrebbe essere ritenuta un’inequivoca continuità della formazione politica titolare del nome e del segno distintivo della scudo crociato con il soggetto oggi in giudizio come Partito Politico della Democrazia Cristiana di G.Pizza. Tali elementi, che non appaiono approfonditi dal giudice della sentenza n. 19381/06, che sembra aver implicitamente ritenuto l’indicata necessaria continuità, che, invece, è contestata dal C.D.U., non sono presenti in giudizio. In primo luogo lo stesso Partito politico della Democrazia Cristiana di Pizza, pur contestando (correttamente, come si è visto) che il mutamento di denominazione della «storica» Democrazia Cristiana sia stato legittimamente adottato secondo le previsioni statutarie, non precisa quale sia stata la sorte della formazione politica Democrazia Cristiana coevamente o subito dopo l’indicato «accordo di Cannes» e se tale formazione abbia continuato ad operare. In secondo luogo nella stessa narrazione cronologica dei fatti offerta dal Partito politico Democrazia Cristiana di G. Pizza, descrivendosi dapprima il mutamento di denominazione .della «storica» Democrazia Cristiana in P.P.I., quindi l’adesione di un certo numero di parlamentari della D.C. al CCD medio tempore costituito, e, ancora successivamente, la costituzione del CDU da parte di appartenenti al PPI, non vengono citati interventi o attività politiche o parlamentari svolti da affermati appartenenti alla Democrazia Cristiana ancora aderenti al partito originario, nella ritenuta invalidità del mutamento di denominazione (…) Peraltro lo stesso Partito politico della Democrazia Cristiana di Pizza ha descritto, nella propria comparsa conclusionale, il periodo antecedente al 2002 (anno di proposizione del giudizio che ha poi condotto alla sentenza 19381/06) come "un’epoca di spontanea riaggregazione di vari gruppi democristiani locali", così implicitamente delineando, sotto l’aspetto storico, una cesura tra la fase della «storica» Democrazia Cristiana conclusasi con il Consiglio Nazionale del gennaio 1994 e la fase successiva, caratterizzata dal sorgere di gruppi di associati tra loro diversi che, idealmente ispirandosi alla matrice comune della «storica» Democrazia Cristiana, hanno, sotto varie forme, inteso ricostituire associazioni politiche fondate su quel patrimonio ideologico. Ma in tal modo ha prospettato, in realtà, una continuità ideale certamente non coincidente con una continuità associativa giuridicamente rilevante. Dall’insieme di tali elementi deve quindi dedursi l’insussistenza di una dimostrata continuità tra la «storica» Democrazia Cristiana, attiva con questa denominazione e con il noto simbolo dello scudo crociato con la scritta «Libertas» fino alla decisione di mutamento della denominazione del 18.01.1994 (non adottata secondo le previsioni statutarie), e il Partito della Democrazia Cristiana di G.Pizza. Conseguentemente non può ritenersi che 1’uso del nome «Democrazia cristiana» e del simbolo con lo scudo crociato derivino da un’affermata continuità che, invece, sulla base degli esposti elementi, non risulta accertata”.
Recependo le indicazioni della Corte di Appello di Roma circa la necessità di ripristinare la continuità giuridica del Partito, con istanza depositata in data 12 maggio 2016 i sig.ri Nino Luciani, Alberto Alessi, Luigi D’Agrò, Renato Grassi e Renzo Gubert, in proprio e quali delegati del 10% dell’ultimo elenco disponibile degli associati iscritti al Partito della Democrazia Cristiana, attesa la decadenza di tutti gli organi associativi del Partito che era intervenuta a seguito dell’ultimo Congresso Nazionale del 1992 per effetto del loro mancato rinnovo, chiedevano al Tribunale di Roma, ai sensi dell’art. 20, comma 2 c.c., (“L'assemblea deve essere inoltre convocata quando se ne ravvisa la necessità o quando ne è fatta richiesta motivata da almeno un decimo degli associati. In questo ultimo caso, se gli amministratori non vi provvedono, la convocazione può essere ordinata dal presidente del tribunale”), di ordinare la convocazione dell’Assemblea Nazionale della Associazione non riconosciuta “Democrazia Cristiana”, per deliberare la nomina del Presidente dell’Associazione ai sensi dell’art. 36 c.c.
Con provvedimento n. 9374 reso in data 14 dicembre 2016, il Giudice adito, premesso che ai sensi dell’art. 20 c.c. l’assemblea della associazione deve essere convocata quando ne sia fatta richiesta motivata da almeno un decimo degli associati e che, nel caso in esame, la richiesta proveniva da un numero di associati, risultante dall’ultimo elenco disponibile degli iscritti 1992-1993 (quale risultante l’ultimo tesseramento per il biennio 1992-1993), superiore al 10% degli iscritti, disponeva la convocazione dell’assemblea degli Associati della Democrazia Cristiana per i giorni 25-26 febbraio 2017, in prima e seconda convocazione, presso l’Hotel Ergife di Roma, per deliberare la nomina del Presidente dell’Associazione e designava il Prof. Nino Luciani a compiere tutte le formalità a tal fine necessarie e a presiedere l’assemblea.
Assolte da parte del Prof. Luciani le procedure per la regolare convocazione dell’assemblea, gli Associati della Democrazia Cristiana in occasione della assemblea del 25-26 febbraio 2017 nominavano Presidente della Associazione il sig. Giovanni Fontana.
Lo svolgimento dell’Assemblea degli Associati, organo rappresentativo di base, la cui piena e definitiva legittimità è stata sancita dalla citata sentenza del 2022, ha consentito di dare corretto avvio al percorso riorganizzativo del Partito, con la ricostituzione di tutti gli organi statutari, anche a livello locale, e la ripresa dell’attività associativa. In particolare:
- in data 13-14 ottobre 2018 si è celebrato il XIX Congresso della Democrazia Cristiana, che, come già esposto, ha eletto Segretario Politico Nazionale il sottoscritto Dr. Renato Grassi e i componenti del Consiglio Nazionale;
- il Consiglio Nazionale, riunitosi il successivo 27-10-2018, ha a sua volta eletto il Dr. Gianni Fontana nella carica di Presidente dello stesso Consiglio e il Dr. Nicola Troisi nella carica di Segretario Amministrativo Nazionale;
- in data 10 novembre 2018 è stata aperta la campagna per il tesseramento degli Associati per il biennio 2018/19, campagna rinnovata negli anni successivi;
- sempre a far data dal 2018 si sono regolarmente tenute le riunioni del Consiglio Nazionale e della Direzione Nazionale. L’attuale Segretario Amministrativo Nazionale del Partito, eletto dal Consiglio Nazionale ed investito a norma di Statuto della rappresentanza legale dell’Ente è il Dr. Mauro Carmagnola;
- da ultimo, il Consiglio Nazionale ha convocato per il 6-7 maggio 2023 il XX Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana, chiamato ad eleggere il Segretario Politico e i Consiglieri Nazionali;
- ad oggi, quindi, risultano ricostituiti ed operativi tutti gli organi statutari del Partito. Per limitarci a quelli centrali: l’Assemblea degli Associati, regolarmente convocata nelle forme del Congresso Nazionale, il Consiglio Nazionale, la Direzione Nazionale, l’Ufficio Politico, il Segretario Politico Nazionale, il Segretario Amministrativo Nazionale, il Presidente del Consiglio nazionale il Collegio dei Probiviri, la Commissione Centrale per il controllo del tesseramento, la Commissione centrale per le garanzie statutarie;
- il processo di riorganizzazione, come detto, è avvenuto in continuità con il Partito “storico” della Democrazia Cristiana, ovvero in conformità a quanto previsto dall’art. 20 del Codice Civile, attraverso una iniziativa assunta dagli Associati della Democrazia Cristiana ancora presenti, quali risultanti dall’ultima campagna di tesseramento dell’anno 1992 - 1993.
Il Partito della Democrazia Cristiana, così ripristinato nel suo legittimo organigramma e nella sua piena funzionalità, ha concorso in questi anni al dibattito politico in continuità con gli obiettivi ideologici, politici e morali della tradizione storica del Partito, tramite una assidua attività politica su base nazionale e territoriale, l’organizzazione di convegni ed incontro.
Esso è perciò l’unica Associazione partitica legittimata all’utilizzo del nome e del simbolo, per certo non appartenenti alla Associazione di cui l’On. Rotondi si qualifica Presidente, denominata “P Piax DC” per acquisto fatto da soggetto non titolare.
Assicuro pertanto a Lei, Signor Ministro e a tutte le Autorità inopinatamente coinvolte, che il Partito della Democrazia Cristiana proseguirà la propria pluridecennale esperienza al servizio del Paese, ben sapendo come reagire nei confronti di chiunque illegittimamente e per finalità personali voglia impedirlo.
Con ossequio.
On. Renato Grassi
SEGRETARIO NAZIONALE DEMOCRAZIA CRISTIANA