A venticinque anni dalla fine della Democrazia cristiana la Cassazione scrive la parola (forse) definitiva nella disputa tra gli eredi del partito che ha governato l’Italia per quasi mezzo secolo. I giudici della Suprema Corte hanno infatti respinto il ricorso avanzato dalla “sedicente” Dc di Angelo Sandri contro le sentenze di Tribunale e Corte di appello che avevano bocciato ogni sua pretesa sull’utilizzo del simbolo e dello storico nome.
Per una singolare coincidenza temporale proprio oggi alla Camera è stata presentata la fondazione Cdu, nata dallo scioglimento dell’omonimo partito, i Cristiani democratici uniti di Rocco Buttiglione, una delle sigle germinate dalla diaspora democristiana, l’unica a poter vantare la titolarità dello scudocrociato con la scritta Libertas. Un diritto trasmesso poi all’Udc di Pier Ferdinando Casini (ora guidata da Lorenzo Cesa).
L’ultima puntata di una vicenda, ormai burocratica più che politica, è scritta ora nella sentenza della Cassazione n. 18746 depositata oggi. In cinque pagine i magistrati ricostruiscono i fatti: il “partito politico Democrazia cristiana”, il cui segretario è Angelo Sandri, ha chiamato in giudizio tutta la galassia dei soggetti post-democristiani (Udc, Cdu, il Ccd, il Ppi, nonché un’altra associazione che porta lo stesso nome ed è guidata da Gianni Fontana) con lo scopo di ottenere l’annullamento del congresso del gennaio 1994 che sancì la morte della Dc, attribuirsi il diritto a utilizzare simbolo e nome e chiedere ottenere la restituzione dei beni appertenuti alla “Balena bianca”. Tutte pretese bocciate in due gradi di giudizio. E ora definitivamente archiviate con la pronuncia dei giudici della Suprema Corte.
La rinata Democrazia cristiana di Fontana (veronese, una vita nella Dc e diversi ruoli di governo, fino a quello di ministro dell’Agricoltura del primo governo Amato nel 1992) ha avuto il suo battesimo il 30 marzo del 2012, con un Consiglio nazionale autoconvocatosi per iniziativa di Clelio Darida e di altri 48 consiglieri nazionali che ricoprivano tale ruolo nel 1994, anno in cui venne deliberata la nascita del Partito popolare italiano. Fontana venne eletto segretario nazionale, carica confermata nel novembre successivo dal Congresso. Dal novembre del 2017 ha la sua sede nel Palazzo Cenci-Bolognetti, vale a dire in quello che, per oltre cinque decadi, ha ospitato la Democrazia cristiana.
Alle elezioni europee di maggio la nuova Dc si è presentata depositando come contrassegno lo scudocrociato. Ministero dell’Interno e Ufficio elettorale nazionale hanno però bocciato il simbolo e il Tar ha confermato l’esclusione: titolare dello scudocrociato resta l’Udc. Un diritto che discende dalla contesa scoppiata nel 1995 all’interno del Ppi tra le due fazioni, guidate da altrettanti segretari, Rocco Buttiglione e Gerardo Bianco. Il primo schierato per l’alleanza con Silvio Berlusconi, il secondo contrario. Con l’accordo finale a Buttiglione e al suo partito chimato Cdu, andò il logo. Al secondo il nome Ppi. Dal Cdu naque il Ccd di Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella, poi l’Udc oggi guidata da Cesa.
12 luglio 2019
Riccardo Ferrazza - Il Sole 24 ore
Sentenza della Corte di Cassazione n. 18746-2019. Se vuoi scaricare il documento CLICCA QUI