Per parlare di impegno e unità dei cristiani in politica occorre partire da un principio: la fede non è un'astrazione. Essa abita ogni persona “credente” nell'esperienza quotidiana della sua esistenza e la impegna a collaborare per la venuta del Regno di Dio.
Partito cattolico?
In una opportuna riflessione Giorgio Merlo scrive: “Come è noto a tutti, e non solo agli addetti ai lavori, il "partito dei cattolici", da Sturzo in poi, in Italia non è mai esistito. Infatti, il Ppi sturziano era un "partito laico, aconfessionale, di programma e aperto a tutti gli uomini liberi e forti". La Democrazia Cristiana, anche se per circostanze storiche e politiche raccoglieva il consenso della stragrande maggioranza dei cattolici italiani, non è mai stata un partito confessionale, o integralistico o di diretta provenienza di settori della Chiesa. Era, in effetti, "un partito di cattolici" e non "dei cattolici".
Vivo con rimpianto l'epoca di un partito - positivamente laico - che, di fatto, era la casa "naturale" dei cristiani che militavano in politica. Avverto il vuoto di un metodo culturale profondo che era capace di far fermentare insieme l’appello evangelico e la lettura della storia concreta, producendo sintesi creative e propositive. Soffro la deriva di un frammentarismo irrilevante, insignificante ed esiziale dei cristiani in politica. Mi dispiace che la paura e il rimpianto di una mitica unità abbia contribuito a portare la Chiesa al silenzio. Non vorrei che si facesse breve il passo dall'irrilevanza alla scomparsa dei cristiani nella vita pubblica.
Ma è doveroso rindare alle sorgenti del magistero della Chiesa, che nei suoi documenti ufficiali e nella vboce dei Sommi Pontefici ha sempre espresso un'alta stima per la genuina azione politica “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità” (GS 75).
Già precedentemente il Papa Pio XI aveva affermato che “niente, al di fuori della religione, può essere superiore al campo della politica che si riferisce agli interessi di tutta la società, che da questa prospettiva, è la forma più alta della carità, la carità politica”. (Discorso alla Fuci, 1927).
Paolo VI, l'addita come "forma esigente di carità" (Octogesima adveniens, 46). Riconosce che la necessità di una comunità politica e di una pubblica autorità è inscritta nella natura sociale dell'uomo e quindi deriva dalla volontà di Dio.
Giovanni Paolo II, nell'esortazione apostolica Christifideles laici, afferma che la politica è la «molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente "il bene comune"». E poco dopo ricorda: «Una politica per la persona e per la società trova il suo criterio basilare nel perseguimento del bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo, bene offerto e garantito alla libera e responsabile accoglienza delle persone, sia singole che associate». Queste frasi sintetizzano un costante insegnamento della Chiesa
Partito di ispirazione cristiana
Si apre in questo contesto e da queste premesse lo scenario che individua l'impegno dei cattolici quando entrano in politica. Questa dimensione obbliga a una seria considerazione. E non può essere evitata una domanda: “Quale influenza ha oggi sulle scelte politiche il Magistero sociale della Chiesa? I cristiani rappresentano per il Paese un valore determinante di vita civile? Come mai l’influenza della Chiesa va scemando a prescindere dalla popolarità dei Papi e dalla loro grandezza?”.
È sotto gli occhi di tutti il profondo cambiamento culturale che può essere definito "epocale"; esso appartiene al nostro tessuto quotidiano. Siamo incamminati verso una nuova epoca della storia. Dinanzi allo scenario di questo terzo millennio stupendo e tremendo, il cristiano che intende entrare in politica non può non interrogarsi sull'impegno che è chiamato ad assumere.
E allora si impone una seconda domanda: quale è la capacità dei cattolici di “illuminare” - per usare l’espressione di don Struzo - lo spazio pubblico delimitato dal perimetro della politica?
La Congregazione per la Dottrina della Fede in una nota del 24.XI.2002 ha scritto, tra l’altro: "La necessità di presentare in termini culturali moderni il frutto dell'eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un'urgenza non procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale dei cattolici" (7).
L'intervento del Magistero evidenzia l’obbligo da parte dei Pastori della Chiesa di illuminare la coscienza dei credenti che militano nella politica perché l'impegno in politica ponga a fondamento la centralità e la dignità della persona, unitamente al principio etico del bene comune che sono i fondamentali che da sempre sostengono l'insegnamento sociale della Chiesa.
Unità dei cristiani in politica
Questi obiettivi e impegni politici meritano una azione comunitaria e unitaria dei cristiani. L’unità possibile è anche importante come segno visibile della dimensione storica e pubblica della fede incarnata, elemento che andrebbe dimenticato se nessuno nella politica effettiva vi si rifacesse esplicitamente non solo a titolo personale ma anche di gruppo. Si potrebbe forse adoperare qui il motto: in essentialibus unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas. Sulle questioni fondamentali ci vuole unità, nelle questioni dubbie è lecito adoperare il libero giudizio personale, in tutto ci vuole la carità.
Se sono in gioco i principi non negoziabili i cristiani in politica dovrebbero essere uniti e collaborare insieme per difendere la verità e il bene dell’uomo.
La diaspora dei cattolici in politica originata nel 1985, dopo il Convegno della Chiesa Italiana di Loreto, non ha pagato. Sui valori essenziali della etica i cristiani dovrebbero essere concordi e unanimi. Ciò è senza dubbio facilitato da un'appartenenza politica comune. Su temi che sono essenziali per la realizzazione del bene comune, l'impegno dei credenti in politica dovrebbe essere quello di aggregare al massimo il consenso, sapendo che tali questioni partono da principi che prima ancora di essere contenuti di fede, sono inscritti nella natura che, come tale, non ha una particolare qualifica confessionale.
In questo senso, ciò che si richiede al politico cristiano è la capacità di recuperare al meglio quella forma di razionalità politica, per far emergere i fondamenti del suo agire e la credibilità delle scelte che compie e di cui chiede la condivisione indipendentemente dalla propria fede e oltre gli schemi ideologici.
Ciò che conta sono le esigenze del "Vangelo della carità", che abbraccia senza alcuna esclusione tutto ciò che favorisce, promuove ed esalta la dignità dell'uomo e una convivenza pacifica, operosa e fraterna fra gli uomini. La carità fa comprendere meglio i doveri politici, aiuta a chiarire la distinzione tra le cose fondamentali e secondarie. La carità fa amare, ma fa anche vedere, perché l’amore fa conoscere meglio la realtà amata. Il Vangelo della carità è sempre connesso con il Vangelo della verità.
È logico che una unità politica dei cristiani sulle questioni fondamentali – i principi non negoziabili – ha bisogno di essere costruita a livello prepolitico, e che ci deve essere una unità culturale prima ancora che politica. Dal problema dell’unità politica si passa quindi a quello dell’unità culturale, che viene prima anche se tra le due dimensioni si dà una certa circolarità perché la politica non solo si nutre di cultura, ma anche la produce.
Tentativo di sintesi
In questa fase nuova, affinché i cattolici non rischino di essere sempre meno rilevanti, nonostante il loro grande contributo alla vita sociale, è indispensabile potenziare le capacità di tradurre la fede in cultura e in azione politica.
mons. Tommaso Stenico